Il percorso diagnostico dei disturbi evolutivi
Il percorso diagnostico di età evolutiva coinvolge, non solo il bambino, ma soprattutto i suoi caregiver. Loro sono i primi a rendersi conto dei segni e sintomi che il bambino manifesta e sono coloro che hanno il compito di riportarlo allo specialista.
La diagnosi di un disturbo è il riconoscimento di un quadro clinico che permette di articolare un progetto di intervento che sia chiaro e verificabile, adeguato alla disabilità.
Tutto inizia da buona raccolta anamnestica che permette di orientarsi verso delle ipotesi e di capire, anche attraverso l’osservazione “semi-naturale” del bambino insieme alla famiglia, il reale motivo della consulenza.
Si passa successivamente al colloquio clinico che permette di raccogliere informazioni con specifiche domande volte a definire lo stato del soggetto. Si possono utilizzare anche questionari e schede self-report. Durante questa fase, attraverso l’osservazione clinica si raccolgono maggiori informazioni che possono essere messe a confronto con quanto emerso dalla fase del colloquio.
La tappa successiva è quella dei test diagnostici, scegliendo solo quelli che ci permettono di verificare o meno le nostre ipotesi iniziali, senza stancare il bambino. Riducendo le ipotesi si arriva ad ottenere un inquadramento diagnostico che permette di valutare quali sono i problemi secondari e quelli dovuti al disturbo. Questo è ciò che viene definito diagnosi di primo livello e cioè una diagnosi categoriale riferita al DSM-5 e ICD-10. Il tutto viene riportato in una sintesi diagnostica che spiega le varie espressioni del disturbo in riferimento al funzionamento neuropsicologico del soggetto; in essa vengono inseriti aspetti qualitativi delle varie prestazioni, delle aree deficitarie, dei punti di forza e debolezza del soggetto, sulle quale impostare poi un trattamento.
Bibliografia:
Diagnosi dei disturbi evolutivi. Modelli, criteri diagnostici e casi clinici. Claudio Vio e Gianluca Lo Presti